ABSTRACT
Alla base di questo scritto vi è l’analisi del microcredito con attento focus sulla normativa che lo ha innestato nel sistema Italia e sulle modalità di attuazione ed erogazione.
In particolare verranno trattate tutte le fasi necessarie alla valutazione dell’idea d’impresa, il tutoraggio messo a disposizione dall’Ente Nazionale per il Microcredito e l’importante funzione delle strutture deputate all’erogazione.
Inoltre illustrerò la sinergia che c’è tra l’Ente ed il sistema bancario italiano che, supportato dalla garanzia dello Stato, senza la necessità di intaccare le proprie riserve, è chiamato ad elargire le somme di denaro richieste dall’imprenditore e valutate necessarie all’avvio della nuova impresa o all’ampliamento di una già in essere.
Le motivazioni che mi hanno spinto ad affrontare lo studio di tale argomento sono due. In primis c’è senza dubbio il fatto che, svolgendo la funzione di Tutor dell’Ente Nazionale per il Microcredito, sono affascinato da questo mondo e vorrei approfondire il più possibile il tema in questione in modo da riuscire ad avere una visione completa del “mondo” in cui svolgo la mia attività lavorativa. In secundis con le argomentazioni e le considerazioni più oltre descritte vorrei che questo lavoro divenisse uno spunto di riflessione capace di far sorgere un sano dibattito nelle Istituzioni competenti in grado di affrontare alcuni che vengono a galla seguendo l’intera “filiera” del microcredito e che si palesano maggiormente nella parte finale del percorso, quando si giunge immediatamente prima della fase dell’erogazione dei fondi.
La tesi è articolata in tre capitoli: nel primo vengono affrontate le varie normative a livello Italiano ed europeo. Nel secondo si parla dei vai player finali per l’erogazione di fondi e delle varie classificazioni del microcredito. Il terzo capitolo, maggiormente variegato, si trattano argomentazioni che vanno dai servizi di accompagnamento usufruiti dal richiedente prima e dopo l’erogazione fino ad arrivare al modello pensato e strutturato dell’Ente Nazionale per i l Microcredito per ottimizzare tutto il percorso.
INTRODUZIONE
Il microcredito nasce da un’intuizione del banchiere ed economista bengalese Muhammad Yunus nato a Chittagong il 28 giugno 1940.
È lui l’ideatore del microcredito moderno che di fatto è un sistema organizzato di piccoli prestiti destinati ad imprenditori troppo poveri per avere un credito dai tradizionali circuiti bancari.
Fautore della teoria che “le persone non dovrebbero lavorare per qualcuno, ma dovrebbero avviare una propria attività”, ha in primis sperimentato in Bangladesh l’opzione del microcredito con la banca da lui fondata e diretta dal 1983 al 2011 denominata Grameer Bank.
Per i suoi sforzi in questo campo ha vinto il premio Nobel per la pace nel 2006.
Successivamente il microcredito, nato con lo scopo di combattere l’usura ed i cosiddetti “prestiti-squali”, è diventato un popolare strumento per lo sviluppo economico vedendo la nascita di centinaia di istituzioni a ciò deputate in molti Paesi del terzo mondo.
L’Italia è stata una delle prime nazioni europee a rispondere all’appello delle Nazioni Unite, con l’allora segretario Kofi Annan, che proclamò il 2005 quale anno internazionale del microcredito. Nel 2006 venne infatti istituito il Comitato nazionale italiano permanente per il microcredito che nel 2011( ) si è trasformato nell’Ente Nazionale per il Microcredito .
Come è possibile visualizzare dallo Statuto, tale Ente ha l’obiettivo di sradicare la povertà e di supportare la lotta all’esclusione sociale in Italia, in ambito internazionale, nei paesi in via di sviluppo e nelle economie in transizione. Inoltre si propone di coordinare con compiti di promozione, indirizzo, agevolazione, valutazione e monitoraggio gli «strumenti microfinanziari» promossi dall’Unione europea, nonché le «attività microfinanziarie» realizzate a valere su fondi dell’Unione Europea.
Fin dal principio la presidenza dell’Ente Nazionale per il Microcredito è stata affidata all’On. Mario Baccini, già ministro della funzione pubblica dal 2004 al 2006.
CAPITOLO 1 – 1. CARATTERISTICHE STRUTTURALI E REGOLAMENTARI DEL MERCATO DELLA FINANZA ETICA E DELLA FINANZA AD IMPATTO SOCIALE
1.1 La normativa nazionale primaria
In occasione dell’anno internazionale per il microcredito, che Kofi Annan allora segretario delle Nazioni Unite indicò per il 2005, il Governo Italiano costituì presso il Ministero degli Affari Esteri il “Comitato nazionale italiano per il 2005 – anno internazionale per il Microcredito” che con Decreto Legge 10 gennaio 2006, n. 2 (art. 4 bis comma 8) [convertito in legge con la Legge 11 marzo 2006 n. 81] fu trasformato nel “Comitato nazionale italiano permanente per il Microcredito”.
Il legislatore dimostrò di non voler interrompere l’esperienza di un solo anno in materia di microcredito, riconoscendo lo strumento utilissimo per consentire lo sviluppo del programma di microfinanza come specificato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nelle risoluzioni 53/197 e 58/221, al fine di incentivare la costituzione di microimprese, anche nel settore agricolo.
Col passare del tempo si rafforza sempre più l’idea del microcredito quale strumento necessario per la lotta alla disoccupazione e per il contrasto alle disuguaglianze.
Nel 2007 il Comitato Nazionale Italiano Permanente per il Microcredito, con Legge 24 dicembre 2007, n. 244 art. 2 commi 185-186-187, viene riconosciuto come Ente con personalità giuridica di diritto pubblico e gli viene assegnato un fondo per la sussistenza.
Nel 2011, con la Legge 12 luglio 2011, n 106, al fine di promuovere l’accesso al microcredito da parte delle piccole e medie imprese, il Comitato nazionale italiano permanente per il microcredito viene costituito in ente pubblico non economico dotato di autonomia amministrativa, organizzativa, patrimoniale, contabile e finanziaria, e assume la denominazione di Ente nazionale per il Microcredito.
Anche in tale occasione il Legislatore ha inteso sottolineare l’importanza del microcredito e all’Ente Nazionale per il Microcredito vengono attribuite le funzioni di ente coordinatore nazionale con compiti di promozione, indirizzo, agevolazione, valutazione e monitoraggio degli strumenti microfinanziari promossi dall’Unione europea nonché delle attività micro finanziarie realizzate a valere su fondi dell’Unione europea.
1.2 La normativa europea
A partire dal 2005, in parallelo al rilancio dell’attuazione della Strategia di Lisbona aumentò l’interesse delle istituzioni dell’Unione europea in generale e della Commissione europea in particolare verso il microcredito.
Nel 2007 si giunse ad una comunicazione della Commissione incentrata sull’“Iniziativa europea per lo sviluppo del microcredito a sostegno della crescita e dell’occupazione”. In tale documento veniva sottolineato il ruolo del microcredito come mezzo per incoraggiare la crescita del lavoro autonomo e la formazione e lo sviluppo di microimprese, in molti casi in congiunzione con gli sforzi volti a promuovere il passaggio dalla disoccupazione al lavoro autonomo. Fra i vari punti esposti, si rimarcavano l’esigenza di un’iniziativa europea sul tema, la parallela necessità che gli Stati membri migliorassero il quadro istituzionale atto a regolare e supportare il microcredito, l’utilità di avere un ente centrale che potesse coordinare e monitorare a livello comunitario gli interventi a sostegno del microcredito, l’opportunità di trovare le modalità (anche tramite un marchio) che connotassero i fondi d’investimento che investono sul microcredito e, infine, la necessità di adottare un codice di condotta per gli istituti microfinanziari (IMf) e microcreditizi (IMicrocredito). In sintesi, le quattro linee d’azione tracciate furono:110
• migliorare il quadro giuridico e istituzionale negli Stati membri;
• rendere il contesto presente più favorevole all’imprenditorialità;
• promuovere la diffusione delle migliori pratiche, comprese quelle annesse alle attività di formazione;
• aumentare il capitale a disposizione degli istituti di microcredito.
Dopo poco più di un anno senza rilevanti sviluppi, nuovo impulso lo diede il Parlamento europeo con la Risoluzione del 24 marzo 2009 che sottolineò, fra i vari temi, la necessità a livello comunitario di:
• porre azioni atte a sensibilizzare ulteriormente sul tema del microcredito, raccogliendo dati e strutturando un sistema organico di “buone pratiche”;
• utilizzare fondi nazionali e comunitari per agevolare le attività di Microcredito a beneficio delle persone e delle imprese che non abbiano diretto accesso al credito, fornire garanzie agli erogatori di Microcredito e supportare economicamente le attività di supporto e consulenza che questi ultimi prestano ai beneficiari nella fase successiva alla concessione del prestito;
• armonizzare il quadro legislativo a livello europeo, suddividendo le realtà di microfinanza e microcredito in bancarie e non bancarie;
• riconoscere il ruolo degli IMf e IMicrocredito non bancari, definirne i requisiti di base e stabilire che essi non possono accettare depositi di denaro dal pubblico ma solo concedere credito, anche ripetutamente; ciò al fine di non considerarli istituzioni finanziarie ai sensi della Direttiva 2006/48/CE (ora abrogata e sostituita dalla Direttiva 2013/36/UE) e di conseguenza escluderli dalla disciplina e dai requisiti stringenti che essa prevede;
• determinare un sistema specifico e armonizzato di autorizzazione, registrazione, vigilanza e gestione del rischio prudenziale per questi istituti di Microcredito non bancari, consentendo fra le altre cose a coloro che non dispongano di un indirizzo permanente o di documenti d’identità personali di accedere al microcredito;
• poter differenziare i limiti fissati per gli aiuti de minimis fra uno Stato membro e l’altro, allorquando questi aiuti riguardino il supporto finanziario agli erogatori di microcredito;
• poter ridurre gli oneri amministrativi connessi agli aiuti de minimis, allorché questi vengano concessi attraverso il Microcredito;
• abolire la discriminazione esistente nella concessione di aiuti de minimis alle imprese del settore agricolo, nel caso l’aiuto sia concesso tramite microcredito;
• affermare il principio secondo cui il ruolo svolto dagli erogatori di microcredito non bancari e, se presente, il sostegno pubblico che tali istituti ricevono, sono in linea con le regole di concorrenza sancite dall’Unione europea;
• consentire il trattamento preferenziale ai beni e servizi forniti dai beneficiari di microcredito, nelle procedure pubbliche di appalto.
• Volendo sottolineare alcuni punti, è interessante come il Parlamento europeo veda l’attività delle realtà di microfinanza non bancarie essenzialmente come sole attività di microcredito, puntando a impedire espressamente che tali realtà possano accettare depositi di risparmio dall’utenza, e contestualmente ritenga molto importante agevolare e sostenere con fondi pubblici sia il sistema di garanzie di cui gli erogatori di Microcredito possono disporre, sia l’attività di assistenza e formazione solitamente connessa e susseguente alla concessione del credito al beneficiario. Inoltre, il Parlamento europeo sembra porre particolare attenzione all’ambito agricolo e rurale, sia auspicando la fine delle discriminazioni alle imprese agricole dovute ai particolari vincoli posti al settore da parte degli aiuti de minimis, nel caso questi aiuti vengano erogati attraverso lo strumento del microcredito, sia citando espressamente le persone che vivono in aree rurali svantaggiate tra i target di potenziali destinatari del Microcredito che in generale hanno difficoltà di accesso al credito.
Riguardo una maggior flessibilità nel consentire forme di supporto pubblico da parte di ciascun Stato membro verso le attività imprenditoriali, in particolare verso le micro, piccole e medie imprese (PMI) , l’Unione europea si è in seguito effettivamente mossa in tal senso ed ha allargato la gamma di aiuti (dettagliandone beneficiari, modalità, scopi) che non rientrano nella rigida disciplina degli aiuti de minimis , sia in generale verso le imprese di gran parte dei settori produttivi, sia verso quelle che operano specificatamente nei settori agricolo e/o forestale e nelle aree rurali. Inoltre, di recente il limite massimo agli aiuti de minimis per le imprese operanti nella produzione primaria di prodotti agricoli è stato raddoppiato, passando dai precedenti € 7.500 a € 15.000 nell’arco di tre esercizi finanziari.
Tornando ad analizzare lo status degli operatori di microcredito, e quindi la disciplina da applicare loro, a fine 2012 la Commissione europea attraverso una propria relazione ha specificato che, in generale, soltanto i microfinanziatori che operano in base al diritto bancario europeo devono rispettare i requisiti della direttiva 2006/48/CE. Tale direttiva è stata sostituita, come già detto, dalla più recente Direttiva 2013/36/UE; tuttavia, la ratio rimane identica: i due requisiti per rientrare nell’ambito del diritto bancario europeo sono quello di concedere crediti per proprio conto e, contestualmente, di ricevere depositi o altri fondi rimborsabili dal pubblico . Ergo, gli IMf e gli IMicrocredito che non raccolgano depositi non necessitano di ottenere una licenza bancaria e, quindi, di soddisfare i requisiti prudenziali contenuti nella predetta direttiva, eccetto se le singole discipline azionali prevedano autonomamente requisiti più stringenti al fine di erogare microprestiti. Ciò circoscrive notevolmente e di conseguenza limita l’impatto che la normativa bancaria comunitaria ha sul Microcredito. La relazione della Commissione afferma infatti che non esiste una condivisa definizione europea di microcredito e che tra i molteplici IMicrocredito vi sono, appunto, enti bancari ed enti non bancari.
Gli enti bancari svolgono un ruolo importante, seppur l’attività di Microcredito ricopra di norma un’importanza secondaria e il loro coinvolgimento possa avvenire sia attraverso attività diretta, sia attraverso proprie fondazioni separate, sia in partenariato o in via indiretta con istituzioni pubbliche od altri enti non bancari, privati o no-profit. Per essi, seppur la Direttiva 2006/48/CE (ora abrogata dalla Direttiva 2013/36/UE, ma l’analisi seguente persiste) non tenga conto delle peculiarità che il microcredito possiede, la Commissione ha confermato l’applicazione delle norme prudenziali sulla gestione, tra gli altri, dei rischi di credito, di concentrazione e di liquidità, ritenendo che esse nel complesso, pur comportando vantaggi e svantaggi rispetto al condurre attività di Mf e Microcredito, non inficino sull’operatività e la funzionalità globali degli IMf e IMicrocredito bancari. Inoltre, il fatto che la direttiva limiti la probabilità di fallimento delle imprese in questione dovrebbe essere accolta con favore, poiché tali norme possono contribuire ad aumentare la fiducia degli investitori finanziari nei fornitori di microcredito, considerandoli una destinazione sicura per i fondi d’investimento, e consentendo a quest’ultimi di attirare finanziamenti a lungo termine, in modo tale da raggiungere così dimensioni più significative e offrire una vasta gamma di servizi ai propri clienti.
Il ruolo degli operatori non bancari risulta fondamentale e, se in alcuni Stati si applica la disciplina societaria generale, in altri – tra cui l’Italia – è stata legiferata un’apposita normativa specifica. Quindi, al momento, la medesima attività di erogazione di microcredito è soggetta a discipline differenti nei diversi Stati membri e, se per gli enti bancari vi è un’armonizzazione generale data dalle norme di settore precedentemente citate, per quelli non bancari la situazione è assolutamente variegata. Allargando il focus della presente analisi, si vede che il solco delineato ora viene sostanzialmente percorso anche dal Comitato di Basilea il quale, in un recente documento del 2010 incentrato sui temi del Microcredito e della Mf, ha riaffermato la sostanziale differenza fra attività di microfinanza nelle quali si accettino depositi dai clienti e attività di microcredito nelle quali non vi sia raccolta di pubblico risparmio. Secondo il presente Comitato, solo i primi dovrebbero essere posti sotto un regime di vigilanza prudenziale, tipico degli istituti creditizi, che dovrebbe comunque essere “proporzionale” e prevedere delle deroghe in relazione agli scopi sociali del Microcredito, al fine di incentivare l’operatività degli attori di settore.
Riguardo agli enti di Microcredito che non raccolgono pubblico risparmio dai depositanti ma si limitano ad erogare prestiti, il presente documento evidenzia come nella maggior parte dei paesi non sia loro richiesta un’autorizzazione preventiva ad operare; inoltre, tra i “Basel Core Principles to depository microfinance” previsti per tutti gli operatori di microcredito, bancari e non, il solo che sia di grande importanza anche per i suddetti IMicrocredito non bancari è il principio n. 18 “Abuse of financial services”, relativo all’adozione di un approccio operativo orientato al rischio – seppur tarato sul tipo di rischi connessi con le operazioni a basso valore proprie della microfinanza – allo scopo di ottimizzare la prevenzione dei crimini, razionalizzare i sistemi di vigilanza e meglio perseguire gli obiettivi di inclusione sociale e riduzione dell’economia informale.
1.3 Finanza etica e finanza a impatto sociale
Sin dal 2005 anno internazionale del microcredito quando fu insediato dall’allora Segretario dell’Onu Kofi Annan l’Ente Nazionale per il Microcredito persegue la lotta alla esclusione finanziaria e alla povertà e la creazione di reddito e occupazione.
Il microcredito non è solo un piccolo prestito ma un prodotto integrato di servizi finanziari e non finanziari che permettono l’integrazione completa dell’individuo nella società creando un imprenditore nuovo e un consumatore nuovo.
Ciò che rende il microcredito diverso dal credito ordinario è l’attenzione per la persona e si manifesta nel modo in cui i beneficiari sono accolti, ascoltati e sostenuti prima durante e dopo il servizio nonché la particolare attenzione prestata alla validità e sostenibilità di un progetto.
Questo approccio è la “via” italiana alla microfinanza.
La legislazione italiana ha reso possibile la creazione di piccole imprese attraverso un fondo nazionale di garanzia.
L’Ente Nazionale per il Microcredito ha sviluppato un modello e una rete in grado di realizzare attività e piccole imprese con un fattore di sviluppo occupazionale di 2,43 unità per ogni microcredito fornito.
C’è chi definisce il microcredito come uno strumento con il quale sia il beneficiario sia l’intermediario finanziario sia lo Stato ottengono un risultato positivo in termini economici e in termini di integrazione sociale. È quindi un vero e proprio strumento di welfare.
I finanziamenti di microcredito possono quindi definirsi anche come finanza etica, cioè quel settore della finanza che pone le persone e l’ambiente al centro dell’attività creditizia e di investimento e che, oltre ai tradizionali metodi di valutazione, stabilisce come e dove allocare le risorse in base anche a valutazioni etiche o morali che vanno ad arricchire l’analisi prettamente finanziaria. E questa è senza dubbio un’evoluzione delle forme di finanza mutualistica, cooperativa e solidaristica che si sono diffuse nelle economie avanzate a partire dalla seconda metà del XIX secolo.
Allo stesso tempo i finanziamenti di microcredito rientrano anche nella categoria di finanziamenti di finanza ad impatto sociale. Infatti con tale termine ci si intende riferire a quella finanza che sostiene investimenti legati a obiettivi sociali misurabili in grado, allo stesso tempo, di generare un ritorno economico per gli investitori. Nel connubio tra obiettivo sociale e ritorno economico, e nella qualificazione del relativo tradeoff, si rintraccia, pertanto, la specificità di questo nuovo segmento di business.
La finanza ad impatto sociale si genera dall’intenzionalità di collocare attivamente risorse finanziarie in progetti, imprese e fondi di investimento che generano benefici sociali – compatibili con il rendimento economico da assicurare all’investitore. Nella finanza a impatto sociale, il driver è costituito dall’obiettivo sociale mentre le architetture finanziarie sono implementate al fine di rendere quell’obiettivo sostenibile e remunerativo.
CAPITOLO 2 – 2. STRUMENTI DI MICROCREDITO E DELLA MICROFINANZA
2.1 Le strutture finanziarie del microcredito ed i provider del microcredito (le banche, gli Operatori ex art 111 TUB)
Oltre ovviamente alle banche , per le quali ‹la raccolta di risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito costituiscono l’attività bancaria›, in generale ‹l’esercizio nei confronti del pubblico dell’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma è riservato agli intermediari finanziari autorizzati, iscritti in un apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia›428. Banche e intermediari finanziari autorizzati hanno quindi vasta libertà di concedere prestiti e finanziamenti, a patto di rispettare le specifiche discipline di riferimento che li regolano e che non è nostro scopo esaminare nel dettaglio. Di conseguenza, fra le molteplici forme di finanziamento, gli istituti creditizi e di intermediazione finanziaria possono erogare anche microcredito: a riguardo, si sottolinea che per costoro vale comunque quanto stabilito dal TUB, cioè si può parlare correttamente di microcredito solo per finanziamenti che rispettino le caratteristiche prescritte dal Testo unico bancario e dalla disciplina ministeriale che ne completa il dettato normativo. Oltre alle banche ed agli intermediari finanziari, un’altra categoria di operatori può erogare il microcredito. Vi è infatti un’eccezione, che deroga ai requisiti ordinari da rispettare per poter risultare un intermediario finanziario autorizzato , la quale consente ad altri ‹soggetti iscritti in un apposito elenco› di poter ‹concedere finanziamenti›; tuttavia, questa possibilità risulta ben circostanziata sotto molteplici aspetti e rientra appunto nel microcredito. Tale norma in deroga costituisce la legislazione specifica per gli enti di microcredito che non siano istituti bancari né intermediari finanziari autorizzati: per semplicità, si utilizzerà da ora in avanti la dizione di operatori “non bancari” per indicare tale categoria di erogatori di microcredito.
Si inizia ora a descrivere nei dettagli i vari requisiti e vincoli che limitano il raggio d’azione degli operatori “non bancari” che erogano microcredito, i quali seguono la disciplina in deroga di cui all’art. 111 del TUB, ulteriormente dettagliata dal Decreto n. 176/2014. In relazione alle modalità e ai criteri per rientrare all’interno di tale categoria, è necessario essere registrati all’interno di un apposito elenco, meglio disciplinato dall’art. 113 del TUB e sul quale si tornerà in seguito. Per ottenere l’iscrizione all’elenco, l’operatore che eroga microcredito deve possedere i seguenti requisiti:
• forma societaria che rientri tra le società di capitali (società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata) o cooperative (comprese quindi le cooperative sociali). Risultano pertanto escluse le società di persone: questa scelta è forse dovuta al voler far rientrare gli “intermediari” di microcredito non bancari in forme societarie che garantiscano un’autonomia patrimoniale perfetta, una struttura interna più solida ed un sistema di controlli più stringente;
• ammontare del capitale versato non inferiore a quanto stabilito dalle già citate disposizioni attuative emanate dal Ministro dell’economia e delle finanze sentita la Banca d’Italia, le quali hanno determinato che tale somma sia pari a non meno di ‹cinque volte il capitale minimo previsto per la costituzione delle società per azioni› ;
• possesso dei requisiti sia di onorabilità da parte dei soci di controllo o rilevanti , sia di onorabilità e professionalità da parte degli esponenti aziendali . Si sottolinea che, qualora i soci dell’operatore di microcredito siano persone giuridiche, i requisiti di onorabilità di cui sopra devono esser posseduti ‹dagli amministratori e dal direttore generale, ovvero dai soggetti che ricoprono cariche equivalenti› ;
• oggetto sociale della società che sia limitato alle sole attività di cui al comma 1 dell’art. 111 del TUB ed alle attività accessorie e strumentali. Di fatto, questo punto esclude gli operatori di microcredito non bancari dalla possibilità di svolgere qualsivoglia altra attività che non sia erogare i prestiti e prestare assistenza ai beneficiari, in primis altre attività di microfinanza come ad esempio le microassicurazioni. Le disposizioni attuative ribadiscono tale vincolo e l’unica novità introdotta concerne la possibilità di poter erogare il microcredito nella forma di microleasing finanziario ;
• la necessità di presentare un proprio programma di attività che il decreto ministeriale ha stabilito riguardi caratteristiche, condizioni e finalità dei prestiti che si erogheranno, target di clienti, modalità di concessione e di monitoraggio dei prestiti forniti, indicazioni sui soggetti di cui l’operatore di microcredito si avvarrà per i servizi ausiliari di assistenza e consulenza e sui sistemi per controllare l’attività di quest’ultimi; tuttavia, la norma non specifica se tale programma sia da predisporre solo all’avvio dell’attività microcreditizia oppure ciclicamente, ad esempio una volta l’anno.
Tornando sull’oggetto sociale degli operatori di microcredito non bancari, salta immediatamente all’occhio che per l’ordinamento italiano questi soggetti sono molto specifici e operano solo nel microcredito propriamente detto, senza allargarsi ad altre attività di microfinanza.
2.2 Il microleasing, la microassicurazione, microcredito e social lending, microcredito, e la cartolarizzazione
Il microcredito è il principale prodotto della microfinanza, ma non l’unico. Nel più ampio concetto di microfinanza rientrano altri prodotti e servizi finanziari che congiuntamente al microcredito, oppure in alternativa ad esso, possono risultare di specifico interesse per le microimprese e gli altri soggetti destinatari.
In senso generale, la microfinanza consiste nell’offerta di prodotti e servizi finanziari a clienti che, per la loro condizione economico-sociale, hanno difficoltà di accesso al settore finanziario tradizionale. Secondo la definizione fornita dall’ONU, “la microfinanza si riferisce a prestiti, risparmi, assicurazioni, servizi di trasferimento, prestiti di microcredito e altri prodotti finanziari destinati a clienti a basso reddito”.
Inizialmente diffusa soprattutto nei Paesi in via di sviluppo (in particolare per prodotti come la microassicurazione) la microfinanza si sta sviluppando rapidamente anche nei Paesi occidentali. Oltre al microcredito – che rappresenta il principale, ma non unico, strumento di microfinanza – si segnalano:
• le micro-assicurazioni: piccole assicurazioni sulla vita, malattia, incidenti, disastri naturali, furto, volatilità dei prezzi delle merci, ecc, per microimprenditori, famiglie ed altri soggetti che, per la loro condizione economico-sociale, non riescono ad accedere all’offerta del settore assicurativo tradizionale;
• il micro-leasing: leasing su piccola scala per esigenze aziendali, che consente anche ai più piccoli imprenditori di realizzare investimenti senza la necessità di disporre di un capitale proprio o di un capitale di credito
• l’housing microfinance: microcredito alle famiglie, alle microimprese e ai piccoli risparmiatori concesso al fine di apportare miglioramenti o ampliamenti alle proprie abitazioni;
• il micro-risparmio: possibilità di aprire conti correnti in cui depositare i propri risparmi;
• i sistemi di pagamento: metodi di pagamento sicuri, come bancomat e carte di credito;
• la canalizzazione delle rimesse: servizi che consentono un facile trasferimento dei flussi di denaro inviati dagli immigrati verso le loro terre di origine;
• la cartolarizzazione: tecnica finanziaria progettata per trasformare strumenti finanziari non trasferibili in altri strumenti finanziari trasferibili, quindi negoziabili e quindi liquidi.
CAPITOLO 3 – 3. MICROCREDITO: SERVIZI AUSILIARI DI ASSISTENZA
3.1 Natura e tipologie dei servizi ausiliari
I servizi ausiliari di assistenza e monitoraggio al microcredito sono erogati dal soggetto finanziatore (banca, intermediario finanziario, operatore di microcredito) in forma diretta oppure avvalendosi di soggetti terzi. L’Ente Nazionale per il Microcredito è specializzato nella prestazione di tali servizi, che eroga direttamente o tramite l’affidamento, in tutto o in parte, a soggetti accreditati o verificati dallo stesso Ente.
Come previsto dal decreto n. 176 del 2014, i servizi ausiliari di assistenza e monitoraggio al microcredito devono essere erogati – in fase istruttoria e durante il periodo di rimborso del prestito – a favore sia delle microimprese beneficiarie dei prestiti destinati a investimenti aziendali (microcredito imprenditoriale) sia delle persone fisiche che si trovano in stato di esclusione finanziaria (microcredito sociale).
Quindi il microcredito deve essere accompagnato ‹dalla prestazione di servizi ausiliari di assistenza e monitoraggio dei soggetti finanziati› . Questa scelta del legislatore italiano è strategia poiché in generale il microcredito può, ma non necessariamente deve, accompagnarsi ad attività di consulenza e supporto a vantaggio dei beneficiari: infatti, la definizione europea di microcredito non ne fa cenno, mentre la nostra legge nazionale rende tale vincolo indissolubile per gli operatori “non bancari”.
In particolare, per il microcredito imprenditoriale devono essere prestati almeno due dei seguenti servizi :
• supporto alla definizione della strategia di sviluppo del progetto finanziato e all’analisi di soluzioni per il miglioramento dello svolgimento dell’attività;
• formazione sulle tecniche di amministrazione dell’impresa, sotto il profilo della gestione contabile, della gestione finanziaria, della gestione del personale;
• formazione sull’uso delle tecnologie più avanzate per innalzare la produttività dell’attività;
• supporto alla definizione dei prezzi e delle strategie di vendita, con l’effettuazione di studi di mercato;
• supporto per la soluzione di problemi legali, fiscali e amministrativi e informazioni circa i relativi servizi disponibili sul mercato;
• con riferimento al finanziamento concesso per la partecipazione a corsi di formazione anche di natura universitaria o post-universitaria, supporto alla definizione del percorso di inserimento nel mercato del lavoro;
• supporto all’individuazione e diagnosi di eventuali criticità dell’implementazione del progetto finanziato.
Per il microcredito sociale per l’intera durata del piano di rimborso del prestito devono essere prestati servizi ausiliari nella gestione del bilancio familiare, in grado di fornire ai debitori informazioni utili a migliorare la gestione dei flussi delle entrate e delle uscite.
3.2 Accompagnamento: pre-tutoraggio e pre-fattibilità
La valutazione, l’accompagnamento, il tutoraggio che supportano l’attività d’impresa sono il fulcro della via italiana alla microfinanza elaborata dall’Ente Nazionale per il Microcredito.
L’articolo 111 del Testo Unico Bancario ribadisce l’unicità e la sostanzialità dei servizi di accompagnamento che diventano il vero ago della bilancia per la costituzione di imprese vitali e prolifere.
I “tutor” si occupano di offrire i servizi ausiliari di accompagnamento, tutoraggio e monitoraggio dell’impresa.
Dall’idea alla sua gestazione fino al monitoraggio ad un anno dalla creazione con una istruzione del “soggetto” che viene guidato alla realizzazione dell’impresa per garantire un default pari o inferiore allo 0,73. In tal modo si conduce l’individuo su un percorso sconosciuto mettendogli a disposizione degli strumenti o che lo rendano in grado di superare quell’ultimo miglio che separa il bisogno dalla sua soddisfazione: l’idea dall’impresa, superando la burocrazia e il sistema bancario.
Durante questa prima fase il tutor intervista il soggetto richiedente sulla tipologia di idea d’impresa che intende realizzare.
Attraverso la compilazione di una “scheda intervista” il tutor apprende dal soggetto richiedente la conoscenza ed il grado di approfondimento che si ha in merito al proprio progetto di impresa, alle spese di investimento necessarie, al possibile conto economico previsionale e ai potenziali ricavi.
La scheda intervista viene sottoposta al primo incontro con il soggetto richiedente che, si ricorda, deve avvenire entro cinque giorni dalla notifica di affidamento dell’incarico .
3.3 Il modello di tutoring dell’Ente per il Microcredito
Il soggetto richiedente avanza alla banca la richiesta un finanziamento di microcredito.
L’operatore della filiale effettua i controlli relativi alle caratteristiche del soggetto richiedente e alle finalità del finanziamento.
Effettuate le verifiche sulle pregiudizievoli provvede a inoltrare all’ENM la richiesta di Tutoraggio attraverso il modello “Allegato I” .
Il tutor incaricato entro 5 giorni lavorativi contatta il cliente per definire un primo incontro. Lo stesso tutor entro 30 giorni o entro un massimo di 120 giorni, a seconda delle caratteristiche del soggetto richiedente e del progetto di investimento relativo, porterà a termine l’istruttoria di microcredito comunicandone l’esito alla filiale.
Il tutor, nei tempi previsti, assisterà il cliente nel verificare la fattibilità della sua idea imprenditoriale. In particolare, attraverso una vera e propria intervista, sopra spiegata, cercherà di acquisire quante più informazioni possibili, utili all’elaborazione condivisa del business plan che si compone dei seguenti prospetti:
• uno illustrativo dei punti di forza e di debolezza dell’idea imprenditoriale e delle strategie che il richiedente del credito intende adottare per la realizzazione della propria idea imprenditoriale;
• Il piano degli investimenti e del prospetto dei ricavi attesi;
• Il conto economico e dello stato patrimoniale, corredati del prospetto di calcolo del cash flow finanziario.
Qualora il tutor valuta positivamente l’impresa, invia la valutazione dell’attività proposta (allegato II) con il documento di business plan.
La filiale, presa visione della documentazione, sarà tenuta a deliberare – positivamente o negativamente – rispetto all’erogazione del prestito, dandone comunicazione all’ENM. (allegato III).
Il credito deliberato viene reso disponibile al cliente per il 20% dell’importo richiesto, previa firma di un’autodichiarazione di destinazione d’uso dell’importo, mentre il restante 80% rimane vincolato con “prenotazione dare” sul conto corrente ed i pagamenti effettuati direttamente dalla Banca alla presentazione dei giustificativi di pagamento.
Il tutor effettua un monitoraggio almeno annuale rispetto al finanziamento erogato e invia una puntuale reportistica rispetto alla gestione dell’impresa ed ai servizi erogati, alla filiale (Allegato IV). Su segnalazione della Banca, interviene contattando il cliente anche in caso di ritardi nei pagamenti del mutuo.
Il rendiconto dell’attività di tutoraggio sarà inserito nel portale e potrà essere utilizzato dalla filiale anche per monitorare il rischio di credito e/o verificare ulteriori esigenze finanziarie e creditizie del cliente.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Nei Paesi in via di sviluppo, il microcredito di solito si associa ad altri piccoli servizi di deposito denaro e di assicurazione, per cui è più corretto parlare nel loro insieme di microfinanza. La microfinanza in questi contesti, specie nelle aree rurali, essenzialmente costituisce lo stadio organizzativo iniziale che assume il sistema creditizio-bancario, nel tentativo di andare oltre ad un quadro puramente informale dominato dai local moneylender, individui prestatori di denaro, e da forme basilari di prestito di gruppo.
Usualmente, dopo un periodo di trasformazione e di sviluppo che accompagna la crescita delle comunità locali, questo sistema bancario iniziale evolve in uno più complesso, dai caratteri “occidentali”, dove ad una più vasta gamma di prestiti si accompagnano servizi finanziari ed assicurativi sempre più variegati. Si pensi ad esempio a Grameen Bank in Bangladesh, a Banco Sol in Bolivia, a Bank Rakyat in Indonesia.
In Europa e in generale fra i paesi a sviluppo maturo, il microcredito è sorto per colmare alcune lacune nell’offerta erogata dal sistema creditizio tradizionale, che tende ad escludere determinate categorie di utenti. Quindi, il microcredito non rappresenta una forma di finanziamento che anticipa lo svilupparsi di altre forme, come nei Paesi in via di sviluppo, bensì costituisce un completamento all’offerta creditizia esistente. Vari sono infatti gli istituti bancari e gli intermediari finanziari che, seguendo strategie di downscaling, allargano il proprio business al settore microcreditizio, direttamente o attraverso società controllate create ad hoc: si pensi a Qredits nei Paesi Bassi, a Banca Etica e Gruppo BNP Paribas tramite Permicro in Italia.
Di conseguenza, il microcredito ha in tali contesti un ruolo molto specifico e questa specificità ha una grande rilevanza: seppur condividano due elementi chiave quali un basso importo (ovviamente rapportato ai rispettivi scenari) e l’assenza di garanzie reali offerte da parte di colui che ne beneficia, il microcredito nei Paesi in via di sviluppo è uno strumento “generalista” che si rivolge ad un’utenza vasta, ampia in rapporto alla popolazione e facilmente raggiungibile; viceversa, il microcredito nei Paesi a sviluppo maturo, quindi anche in Italia, è uno strumento “di nicchia”, che si rivolge a specifiche fasce di popolazione (o di tessuto imprenditoriale) relativamente ridotte e che sovente sono difficilmente raggiungibili.
In Italia vi è una suddivisione tra microcredito sociale, rivolto a favore di persone fisiche in condizioni di particolare vulnerabilità socio-economica e finalizzato all’acquisto di beni o servizi necessari al soddisfacimento di bisogni primari, e microcredito all’impresa, destinato a sovvenzionare attività di lavoro autonomo e/o microimprese, sul quale si concentra il presente lavoro.
Se l’art. 111 del Testo Unico Bancario contiene la disciplina legislativa sul microcredito, il Decreto 17 ottobre 2014, n. 176 del Ministero dell’economia e delle finanze (MEF) ne ha dettagliato le norme. L’impatto del presente decreto è fondamentale, poiché rende applicabili le preesistenti disposizioni legislative e dà finalmente una cornice regolamentare a un settore che in precedenza si era sviluppato con un’aurea di indeterminatezza, senza poter delimitare esattamente cosa fosse e cosa non fosse microcredito. La disciplina nazionale avrà anche un effetto uniformatore rispetto ai molteplici programmi ed esperienze regionali, provinciali e locali di microcredito, i quali compongono nel loro insieme un quadro nazionale fortemente variegato, delineando un settore con molti progetti che nascono ed altri che terminano ma comunque in costante crescita, il quale da un lato si è sviluppato in stretta interconnessione con le varie realtà locali, dall’altro ha risentito appunto dell’assenza di precisi paletti normativi.
Il Decreto 176/2014 regolamenta sia gli scopi per i quali si può chiedere un microcredito sia chi vi può accedere.
Focalizzandosi su quest’ultimo aspetto, se il vincolo del possesso di una partita IVA da non più di 5 anni rende il microcredito una forma di finanziamento diretta ad attività di lavoro autonomo e/o a microimprese cronologicamente “giovani”, i restanti paletti (inerenti la forma giuridica e i valori massimi relativi all’attivo patrimoniale, ai ricavi lordi, al livello di indebitamento e al numero di dipendenti non soci) tendono a restringere ulteriormente la platea di potenziali beneficiari di microcredito.
In una prospettiva più ampia, dunque, con il corrente quadro normativo il rischio è quello della “montagna che partorisce un topolino”, ossia di uno strumento, quale il microcredito, potenzialmente molto utile in un tessuto economico-produttivo come quello nazionale caratterizzato da un ruolo preminente delle PMI e da una miriade di microimprese, molte delle quali particolarmente colpite dalla morsa creditizia, ma a cui può accedere solo una parte, forse minoritaria, di coloro che appartengono ai target di interesse.
Tuttavia, passando da una prospettiva più ampia a una molto più specifica, se si guarda alle sole microimprese o attività di lavoro autonomo in fase di avviamento o di un primo consolidamento sul mercato, oppure alle politiche di sostegno dell’autoimprenditorialità, il microcredito può rivestire un ruolo importante come canale privilegiato di finanziamento e contribuire efficacemente a far sorgere sul tessuto produttivo di un territorio nuove realtà economiche; in tal senso, i servizi di assistenza, consulenza e monitoraggio a vantaggio del beneficiario sono un valore aggiunto chiave.
Se questa è la corretta prospettiva entro cui valutare e giudicare il peso del microcredito, nel prossimo futuro sarà importante strutturare campagne di comunicazione e promozione ad hoc, poiché gran parte delle attività di comunicazione, anche di carattere istituzionale, fino ad oggi portate avanti hanno trasmesso l’immagine del Microcredito come uno strumento sì tarato su microimprese ma, all’interno di questo target, ampliamente utilizzabile e non di portata assai specifica, ossia vincolato a determinate destinazioni d’uso e limitato alla sola fase iniziale, di nascita e avvio, delle stesse microimprese.
In questo scenario si inseriscono gli operatori non bancari di microcredito, specifici intermediari istituiti dal Decreto 176/2014 per operare nel solo ambito microcreditizio.
La figura degli operatori non bancari di microcredito, che probabilmente nella ratio del legislatore rappresenta anche il principale contenitore giuridico in cui far confluire quegli intermediari finanziari che alla luce della recente riforma del settore non raggiungono più i parametri per poter operare in quanto tali, sembra non sorgere con i migliori auspici, anche se sarà necessario attendere l’immediato futuro per comprendere se tali operatori potranno affermarsi o meno.
Tornando al microcredito in sé, nei Paesi in via di sviluppo sono gli stretti legami sociali fra i vari membri di una data comunità che “garantiscono” un corretto comportamento da parte del debitore ed il suo impegno nel rimborsare il finanziamento ricevuto. In tali società, in cui il vincolo comunitario è spesso ancora molto forte, il microcredito concesso sotto forma di prestito di gruppo a più debitori che si supportano a vicenda nel rimborso del prestito è una formula diffusamente utilizzata.
Nelle società occidentali, e quindi pure in Italia, dove è presente un più accentuato individualismo e i legami sociali sono meno vincolanti, anche in chiave sanzionatoria, di fatto è la mano pubblica che si fa garante nei confronti del creditore del microcredito concesso, in sostituzione del debitore. Infatti, a supporto della concessione di microcredito si è creato tutto un sistema di fondi, a livello comunitario, nazionale, regionale e locale, per concedere garanzie, controgaranzie e denaro a interesse agevolato agli intermediari, bancari e non, che erogano microcredito.
In tal modo quest’ultimi da un lato vedono ridursi i costi legati all’approvvigionamento di denaro da erogare successivamente come microcredito (grazie ai prestiti agevolati), dall’altro si cautelano dal rischio di insolvenza del debitore (tramite le garanzie).
Ciò consente agli intermediari che erogano microcredito di prestare denaro a interessi assai più bassi rispetto a quelli che dovrebbero essere posti se i finanziamenti venissero erogati a soggetti con alto rischio di insolvenza, privi di garanzie, a condizioni di mercato.
In conclusione, in un contesto nazionale ove da un lato il tessuto economico è strutturalmente dominato dalle PMI e da molteplici piccole attività imprenditoriali e dall’altro è presente un sistema creditizio cui fasce non irrilevanti di tale tessuto economico non riesce ad accedere in modo adeguato, il microcredito a parere dello scrivente può certamente avere un ruolo rilevante nel facilitare l’accesso al credito per determinate fasce di popolazione e di microimprese, in particolare per supportare il sorgere di nuove attività economiche, erogando a queste servizi di assistenza e monitoraggio preziosi per consolidare i loro business; lo stesso si ritiene possa valere in ambito di sviluppo rurale, dove sovente l’offerta creditizia tradizionale è ancora più carente.
Pure il sistema pubblico di fondi a supporto e garanzia dell’erogazione di microcredito, che si è molto sviluppato nel corso degli ultimi anni ed è in piena evoluzione tuttora, sembra nel complesso poter funzionare bene, specie se ulteriormente “oliato”.
Tuttavia, affinché il microcredito si possa affermare in Italia, due elementi sono necessari:
• la costruzione e il consolidamento di un ambiente istituzionale e culturale favorevole al microcredito, con il concorso di un’ampia gamma di stakeholder, dalle amministrazioni pubbliche agli attori del tradizionale circuito creditizio e del mondo economico, dalla società civile al Terzo settore. In questo processo sono fondamentali gli aspetti comunicativi, con le istituzioni che, stante la vigente disciplina del Microcredito, dovrebbero veicolare più attentamente le informazioni e l’immagine che vengono trasmessi del microcredito, sottolineando la specificità dello strumento e dei target cui si rivolge;
• un’ulteriore approfondita analisi dei paletti normativi posti per accedere al microcredito i quali, apparendo eccessivamente restrittivi rispetto agli obiettivi che le istituzioni vogliono poter raggiungere attraverso tale strumento, andrebbero modificati ed ampliati.
Se ciò accadrà, è possibile possa svilupparsi concretamente un vivace settore microcreditizio, dove, come previsto dalla legge, accanto ai tradizionali attori (banche ed intermediari finanziari) possano trovare un loro spazio pure gli operatori non bancari di microcredito e gli operatori di finanza mutualistica e solidale.
Il prossimo futuro e le scelte che verranno prese sul tema saranno fondamentali per capire le reali prospettive del microcredito in Italia.
N.B. Ai sensi della legge sul diritto d’autore (L. 22 aprile 1942 n. 633) si fa espresso divieto di riproduzione dei contenuti del presente articolo da parte di terzi senza la citazione della fonte.
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