L’importanza dell’istruzione nel mondo globalizzato
In base ai dati forniti dal Miur (Ministero dell’istruzione),i ragazzi delle superiori che hanno abbandonato il corso di studio che stavano frequentando sono, nell’ultimo decennio, più di un milione e mezzo e riguardano soprattutto gli alunni degli Istituti professionali.
Si tratta di una decisione quasi sempre negativa per i giovani, infatti le statistiche dicono che uno su due dei ragazzi che possiedono solo la licenza media risultano disoccupati.
Questi ragazzi sono conosciuti, oggi, con la nota sigla di “Neet”, ossia i ragazzi che né studiano né lavorano, che hanno abbandonato la scuola e che non cercano nemmeno un’occupazione.
Negli ultimi tempi il loro numero è sempre in aumento, poiché è molto più facile svegliarsi tardi la mattina e passare molte ore nella propria stanza davanti al pc o a giocare alla playstation o chattare con gli amici virtuali.
E’ questa, come si può facilmente capire, la tanto temuta dispersione scolastica.
La domanda che sorge spontanea è “Che cosa possono fare i genitori per motivare i figli e aiutarli a completare gli studi?
La risposta è tutt’altro che semplice ed implica cause di tipo personale, sociale, culturale, economico.
La dottoressa Silvia Bassanini, pedagogista e psicologa a Como, spiega il fenomeno dicendo che i ragazzi iniziano a sentirsi isolati e tagliati fuori dal gruppo-classe e da qui inizia la demotivazione che aumenta di giorno in giorno, facendo inevitabilmente abbassare il tono dell’umore.
Il metodo del “bastone e della carota”, aggiunge, si è rivelato fallimentare e ha fatto capire che non è sufficiente lavorare sulle motivazioni estrinseche, meglio orientarsi su quelle intrinseche del ragazzo, con domande che sondino la sua soddisfazione od insoddisfazione.
I ragazzi, come dimostra l’esperienza, si impegnano se trovano quell’attività, quell’insegnamento, gratificante e stimolante, e ciò può avvenire attraverso l’incentivazione della motivazione che coinvolge i processi cognitivi e quelli affettivo-emozionali che contribuiscono alla crescita globale ed equilibrata dell’uomo e del cittadino, il quale, comprendendo profondamente i messaggi da cui è sollecitato, analizza, confronta, riflette, decide autonomamente.
A scuola, secondo i dati dell’Ocse, i ragazzi sono sempre più insoddisfatti, prede dell’ansia da prestazione e hanno relazioni sociali poco gratificanti.
Abbandonano i banchi scolastici anche per difficoltà di tipo emotivo; sono sommersi da emozioni negative, come rabbia, frustrazione, paura, ma anche da pensieri che possono riguardare un disagio familiare, come, per esempio, un litigio, un divorzio dei genitori.
Possono avere un rapporto difficile con uno o più compagni di classe, possono sentire il peso delle speranze e delle aspettative che i genitori hanno riposto in loro.
Uno o più di questi aspetti possono essere causa di abbandono scolastico.
Da tutto ciò si è capito che i disagi vissuti a casa, a scuola o a causa delle amicizie influiscono largamente sull’andamento scolastico.
E’ vero che i ragazzi hanno difficoltà ad esprimere le loro emozioni, ma quasi sempre i figli lanciano dei segnali, dai sintomi psicosomatici a malesseri inventati per non andare a scuola e i genitori devono stare attenti a non minimizzare ciò che tentano di comunicare con i loro atteggiamenti anziché con parole esplicite.
Con molta probabilità, potrebbero avere bisogno di un sostegno psicologico, in grado di aiutarli a risolvere le difficoltà. Gli stessi genitori dovrebbero dare esempi, come riprendere a dialogare serenamente, riprendere a raccontare esempi edificanti, partire dalle storie per parlare di sentimenti, di amicizie, di speranze, d’amore.
Dovrebbero riprendere ad ascoltare con attenzione, in una parola, passare del tempo con loro in modo costruttivo.
Spesso, invece, avviene il contrario, poiché alcuni genitori sono pronti a dettare regole rigorose, altri a proiettare sui figli le loro aspettative deluse, altri ancora preferiscono fare i compiti al posto dei loro figli senza preoccuparsi di insegnare loro l’autonomia.
Tutti questi aspetti, come è facile capire, non aiutano i giovani ad amare la scuola, anzi potrebbero far diminuire o addirittura non far emergere la vera motivazione per cui dovrebbero studiare.
Per ottenere risultati positivi occorre la convergenza sinergica di tutte le risorse disponibili, pronte a confrontarsi, a discutere mettendosi in gioco, pronte a valorizzare le sensazioni, le riflessioni, le emozioni e perché il gioco diventi emozionante genitori e docenti, in perfetta collaborazione e tenendo conto della storia personale e scolastica di ogni ragazzo, dovrebbero saper fornire supporti, strategie, comportamenti cognitivi, strumenti didattici mirati.
In questo modo i giovani allievi potrebbero imparare ad amare lo studio e la scuola, potrebbero imparare a pensare in modo critico, potrebbero imparare a costruire relazioni positive e costruttive con i coetanei, oltre ad apprendere tecniche, conoscenze, competenze in un clima sereno, favorevole all’apprendimento e alla socializzazione costruttiva.
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