L’8 settembre: una tragedia tutta italiana
Con la firma dell’armistizio di Cassibile (3 settembre 1943) che verrà reso di pubblico dominio con la dichiarazione badogliana dell’8 settembre successivo l’Italia doveva deporre le armi e cessare ogni azione di guerra contro gli Alleati.
La notizia venne accolta con grande giubilo di popolo e dovunque la folla si scatenò contro quanto rimaneva in piedi del regime fascista, soprattutto contro gli stemmi e le statue raffiguranti il duce.
La firma dell’Armistizio era diventata una necessità ineludibile dal momento che la guerra era perduta: il 10 luglio si era avuto lo sbarco degli Americani in Sicilia.
Il 25 luglio il Gran Consiglio fascista in seduta collegiale aveva votato la caduta di Mussolini, che, come si sa, era stato arrestato per ordine del re e tradotto in luogo segreto sul Gran Sasso.Il nuovo governo, presieduto da Pietro Badoglio, nonostante le dichiarazioni marziali contro le truppe tedesche, in realtà nei cinque giorni intercorsi tra il 3 e l’8 settembre pensò bene di trovare salvezza a Brindisi già liberata dalle truppe Alleate.
Dal canto loro i Tedeschi non persero tempo ad invadere l’Italia e a prendere Roma con l’ausilio di venti divisioni comandate dal generale Kesserling.
L’Italia, dalla Campania alle Alpi, è un Paese allo sbando, i soldati italiani dovunque si trovano gettano le armi e cercano di raggiungere la loro casa.
Il Paese è spaccato in due, al Sud la popolazione è stata liberata dalle truppe Alleate; al Nord infuria la lotta partigiana contro i Tedeschi ed i Fascisti della neonata Repubblica di Salò, fondata da Mussolini su ordine di Hitler dopo averlo fatto liberare dalla detenzione del Gran Sasso.
Nel Centro-nord la popolazione italiana, che credeva di essere al sicuro da ogni forma di violenza e dalla guerra dopo la firma dell’Armistizio, si rende conto invece a sue spese che le sofferenze non sono finite: dovunque regnano sovrani il dolore e la morte.
Rappresaglie, rastrellamenti, esecuzioni sommarie, odio e vendette sono all’ordine del giorno.
Alla violenza più brutale si risponde con odio e vendetta di ogni genere e tutti i cittadini di ogni età e condizione soffrono le conseguenze della guerra civile e della furia bellica.
Le città bombardate, le case distrutte, i miasmi esalanti dai cadaveri spesso insepolti, la fuga degli sfollati alla ricerca disperata di un luogo dove trovare ricovero e salvezza: costituiscono il tragico sfondo di un Paese distrutto.
Noi cittadini di Cassino, ad esempio, non abbiamo dimenticato che la nostra città fu rasa al suolo completamente, e bisogna aggiungere che tante altre di ogni regione del Centro e del Nord ebbero lo stesso destino.
La libertà riconquistata, gli agi di una vita comoda e tranquilla tra le pareti domestiche in seno agli affetti familiari, non sempre rendono facile al nostro pensiero e alla nostra immaginazione il ricordo di quei tragici eventi.
E tuttavia basta accendere la televisione o comprare il giornale perché lo sfacelo della guerra si manifesti davanti i nostri occhi in molti Paesi del Medio-Oriente, ad esempio, che soffrono oggi quello che i nostri padri soffrirono allora.
Di fronte a tante crudeltà che tuttora si scatenano nelle tempeste delle furia bellica non possiamo non commentare con amarezza che uno strano destino sembra gravare sul progresso civile e sociale.
Quasi ciclicamente, l’essere umano pare che voglia distruggere con la guerra ciò che ha costruito faticosamente negli anni della pace.
Il nostro augurio è che possa durare illimitatamente dappertutto nel mondo quel clima di pace e di collaborazione tra i popoli che sembra essersi consolidato nella Comunità europea di cui facciamo parte.
Prof.ssa Leonarda Oliva
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