IL MITO DELLA CAVERNA
La Repubblica (IV secolo a.C.) | Platone (Atene 428 o 427 a. C. – ivi 348 o 347)
È il mito più celebre di Platone e trova un’impresa ardua nella sua interpretazione. Sintetizza il pensiero del filosofo nella sua età matura e ha influenzato la letteratura nei millenni. Rappresenta la differenza che può esserci tra il mondo che è e il mondo che appare (verità, illusione e apparenza).
Il mito della caverna è una grande metafora del percorso formativo del sapiente che nella “Repubblica” – opera in cui il filosofo ateniese descrive lo Stato giusto, ideale e perfetto – era inteso come l’uomo in grado di gestire al meglio uno Stato che, appunto, “si regge grazie al buon governo dei sapienti”. Secondo Platone i sapienti sono i filosofi e il mito della caverna è il percorso che l’uomo deve compiere per raggiungere tale status. E lo deve compiere superando le avversità proposte da una società tendenzialmente ingiusta, corrotta e degradata, che al tempo di Platone era appunto quella che aveva ucciso il suo maestro Socrate (giusto tra i giusti) con l’accusa di non credere negli dei tradizionali e di corrompere i giovani (si trattava in realtà di un processo politico dovuto probabilmente al fatto che della sua cerchia facevano parte illustri esponenti della corrente aristocratica).
Il mito della caverna è dunque il percorso di evoluzione dell’uomo che da schiavo diventa libero e sapiente filosofo che ha ottenuto la conoscenza.
Ma cosa rappresenta la caverna e cosa c’è dentro?
Essa rappresenta il mondo visibile delle cose. Quello che c’è fuori rappresenta il mondo reale, cioè il mondo iperuranio delle idee.
Secondo Platone l’iperuranio è quella zona al di là del cielo dove risiedono le idee, quel mondo oltre la volta celeste che è sempre esistito e in cui vi sono le idee immutabili e perfette e che è raggiungibile solo dall’intelletto e non è tangibile dagli enti terreni e corruttibili.
All’interno della caverna ci sono alcuni schiavi incatenati al collo, alle braccia e alle gambe sin dalla nascita e sono posti di fronte ad una parete, impossibilitati a muoversi e a girarsi. Dietro di loro c’è un muro e, subito dopo, alcuni uomini che trasportano oggetti e figure sopra le loro spalle. Più in la c’è un fuoco che con la propria luce proietta le ombre degli oggetti e delle forme traportate sul muro che gli schiavi sono costretti a guardare.
Ancora più avanti c’è una strada che porta all’uscita dalla caverna.
Questa immagine che Platone vuole mostrarci leggendo quella che è una delle sue più conosciute allegorie può essere interpretata come la condizione di ignoranza della maggior parte dell’umanità e la trasmissione della falsa conoscenza (la credenza) da parte di poche persone che pensano di aver raggiunto la sapienza, ma che in realtà riescono a dare solo risposte parziali. Questi ultimi, anche se sono ad un livello superiore degli schiavi, rimangono pur sempre all’interno della caverna e quindi all’interno di un mondo “visibile” e la loro trasmissione della conoscenza è essenzialmente legato alla credenza.
Il fuoco che illumina la caverna può essere interpretato come una forma di conoscenza che gli uomini adottano e accettano, ma resta però una “luce parziale” e, quindi, una conoscenza limitata rispetto alla luce del Sole che c’è fuori.
Proseguendo con la lettura dell’opera arriviamo al punto in cui uno degli schiavi si libera e va verso l’uscita della grotta. Platone ben descrive questo momento. Dice: “immaginiamo che un uomo un giorno si accorga che le proprie catene siano sciolte e che improvvisamente abbia la curiosità di girarsi a guardare cosa c’è dietro di lui”…
Questo è un uomo che con la propria tenacia e ostinazione dimostra di avere il coraggio di abbandonare le immagini delle ombre, di discostare lo sguardo dalla parete, di alzarsi dalla posizione dello stare inginocchiato e decide di andare al di la della fantasia e della propria immaginazione guardando appunto cosa c’è alle proprie spalle.
Girandosi c’è il muro e l’uomo pian piano superandolo resta abbagliato dalla luce del fuoco e quasi non riesce a tenere gli occhi aperti. A questo punto una delle soluzioni più semplici da adottare sarebbe quella di girarsi e tornare alle “sicurezze” delle ombre dietro al muro, ma la curiosità ha innescato in lui il viaggio e il cammino verso la verità. Allora si fa forza e abbassando lo sguardo prosegue il proprio cammino e, mentre gli occhi si abituano alla luce del fuoco, comincia a sentire il chiacchiericcio dei portatori delle statue. Allora si sposta dalla parte più periferica della caverna e si avvicina al fuoco. A quel punto però si accorge che non si esaurisce tutto li dentro perché in lontananza c’è una strada che porta verso l’uscita. L’uomo a quel punto è molto incuriosito, ma si trova a dover fare i conti con la paura di proseguire: quella paura che necessariamente si ha quando si decide di andare verso l’ignoto. Ma vince in lui la curiosità della conoscenza e, proseguendo per quella via, arriva all’uscita e a quel punto l’uomo libero si accorge che non si esauriva tutto dentro la caverna. Si rende conto che li c’è un altro mondo che è il mondo delle idee. La forte luce del Sole – che può essere intesa come l’infinita conoscenza – però lo costringe ad aspettare il tramonto prima di poter uscire perché i suoi occhi non riescono ad abituarsi a un così repentino cambiamento.
Il problema però si pone anche la notte a causa della luce della luna e delle stelle ed è costretto a guardare gli oggetti riflessi all’interno del fiume in modo che gli occhi possano pian piano abituarsi. Dopo molti giorni riesce finalmente a guadare la luna, le stelle ed il Sole e ne rimane rapito! L’uomo che fino a pochi giorni prima era uno schiavo è finalmente diventato sapiente, ma – dice Platone – non ancora filosofo perché per raggiungere questo stadio bisogna agire e non restare fermi a contemplare.
A questo punto però l’uomo che ha visto il bello e conosciuto la sapienza si intristisce pensando ai propri compagni che sono ancora nella grotta senza poter vedere così tanta bellezza.
È combattuto tra la voglia di rimanere a contemplare il bello e la voglia di andare a “salvare” i propri compagni. Decide di ridiscendere nella caverna: e questo è il momento che fa diventare l’uomo un vero filosofo perché il filosofo è colui che decide di liberare gli uomini dall’ignoranza aiutandoli nel cammino della conoscenza.
Quando però si trova vicino ai suoi compagni e gli racconta tutto loro non ci credono e tentano di allontanarlo. Lui insiste ma intervengono anche gli uomini che portavano sulle spalle gli oggetti che lo additano come un pazzo e un folle che intende distoglierli da una vita calma e serena. Inoltre danno piccoli premi agli schiavi purché restino incatenati e non gli credano.
Quest’ultima metafora può essere interpretata come il potere che pur di mantenere il proprio dominio ti da piccoli premi per farti stare tranquillo.
A voli le considerazioni.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!